Sicurezza: il ruolo della farmaceutica

Sicurezza: il ruolo della farmaceutica

ispinoline.it – Nel recente Rapporto Safer Together sulla preparazione civile e militare dell’Europa, che l’ex presidente finlandese Sauli Niinistö ha curato per conto della Commissione europea, si osserva come il riemergere della conflittualità internazionale abbia minato “la convinzione a lungo sostenuta che il commercio e le interdipendenze economiche potessero superare i dilemmi della sicurezza e che economia e sicurezza potessero essere considerate ambiti essenzialmente separati”.

Assistiamo a un vero e proprio cambiamento culturale tra le classi dirigenti, che fino a tempi recenti avevano aderito al paradigma della globalizzazione, che porta con sé anche conseguenze tali da sfidare il tessuto industriale stesso.

Innanzitutto, serve riflettere su come una riduzione di quell’autonomia dell’economia che ha segnato l’apertura dei mercati possa ripercuotersi sul dinamismo dell’attività industriale, chiedendosi – come fa anche il recente Rapporto ISPI – quanto la crescente complessità dei prodotti industriali sia compatibile con un potenziale arretramento della specializzazione internazionale e una eventuale contrazione del commercio mondiale, senza che questo determini ulteriori aumenti dei costi o vada a detrimento della disponibilità dei prodotti. È una realtà, fra l’altro, che vede proprio l’Europa in condizioni di debolezza rispetto a USA e Cina.

Va compreso anche come questo cambio di prospettiva finisca per accrescere, anziché ridurre, l’importanza degli attori industriali, che vengono esplicitamente e direttamente chiamati in causa, non solo nel settore strettamente militare. Il Rapporto Niinistö, infatti, mette in luce come l’UE si trova in un mondo caratterizzato dalla “trasformazione di tutto in arma” e, con essa, dalla “securitizzazione di qualunque cosa”.

È una svolta che si traduce nell’eventualità di minacce ibride, che non si rivolgono esclusivamente a obiettivi militari ma, appunto, anche industriali, e nel potenziale impiego coercitivo delle dipendenze strategiche, in particolare anche in settori vitali, fra i quali il Rapporto Niinistö indica esplicitamente il farmaceutico. Non è un caso se negli anni recenti a livello globale si è già segnalata una forte crescita delle politiche di restrizione al commercio anche nei prodotti medici che, dopo l’ovvio picco del 2020, non sono più tornate ai livelli, prossimi allo zero, degli anni precedenti la pandemia.

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L’impostazione seguita nel Rapporto trova nel concetto di whole-of-society la sua compiuta teorizzazione. Gli attori industriali dei settori strategici divengono centrali nel momento in cui si riconosce che la sicurezza e la resilienza non sono responsabilità esclusive dei governi o delle forze militari e la preparazione alle crisi e alle minacce deve coinvolgere non solo le autorità pubbliche a tutti i livelli, ma anche il settore privato, le organizzazioni della società civile e i cittadini. Quella della necessità di un costante confronto fra autorità e attori industriali è un’ottica che trova, del resto, conferma anche nell’esistenza di un’area di sovrapposizione che coincide con l’impiego tanto in sede militare che civile di tecnologie, materiali e infrastrutture dual-use.

Resilienza, competitività, innovazione, welfare

In questa prospettiva l’industria farmaceutica appare come un interlocutore fondamentale delle istituzioni, da coinvolgere per condividere informazioni sia nella predisposizione dei piani di emergenza sia, in una visione strategica di più ampio respiro, per capire quali tecnologie, competenze e regole siano necessarie per sviluppare e attrarre investimenti e innovazione e in questo modo rafforzare la sicurezza nazionale.

Essa emerge, da un lato, come uno di quegli ambiti in cui la capacità industriale interna permette politiche di riduzione della dipendenza strategica, che in assenza di una struttura adeguata sarebbero impossibili. Se è vero che la farmaceutica europea registra una dipendenza cronica da India e Cina, dalle quali attinge oltre il 70% dei principi attivi di uso più consolidato, è altrettanto vero che proprio l’Italia è in ambito UE il Paese che più ha conservato una capacità produttiva in questo ambito, con i vantaggi in termini di resilienza che questo può comportare, per l’Italia e per l’Europa.

Dall’altro lato, proprio nel settore farmaceutico, con la corsa a farmaci e vaccini per rispondere alla pandemia, è emerso negli anni recenti il rilievo di sicurezza nazionale della dimensione industriale, in termini di ricerca e produzione.

Quello tra produzione e ricerca è un binomio che rappresenta la chiave di un concetto più ampio e completo di sicurezza: non solo disponibilità dei prodotti già sviluppati, ma anche – grazie a R&S e innovazione tecnologica – superamento di una prospettiva “statica” di gestione dell’esistente verso un’ottica dinamica in cui la capacità di mettere a disposizione strumenti e prodotti nuovi in grado di soddisfare nuove necessità finisce per garantire un vantaggio strategico a chi è in grado di realizzarla. È un concetto che il presidente Xi Jinping ha espresso non senza una certa dose di brutale franchezza: “l’innovazione hi-tech è campo di battaglia fra potenze”.

In un mondo che “trasforma in arma qualunque cosa” vi è un legame evidente fra competitività, innovazione e sicurezza. E senza le prime, presto o tardi, non può esserci l’ultima. Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha evidenziato il rischio che l’Europa finisca per essere un semplice utilizzatore di tecnologie altrui, anziché esserne un produttore. Un esito estremamente nocivo sia per la dimensione economica che per quella strategica. Usando le parole dello stesso governatore, “è indispensabile rilanciare la crescita, non solo per garantire il benessere dei cittadini, ma anche per continuare a contare nel mondo”.

Se tutto è un’arma, infine, allora tutto può essere anche usato per difendersi. In una realtà delle relazioni internazionali che si fa sempre più conflittuale, ciò che in una certa narrazione è stato a lungo considerato un peso da ridurre, quel welfare che è al cuore del contratto sociale europeo, emerge allora come elemento cardine di resilienza sociale, che proprio innovazione e ricerca realizzate in sede industriale possono contribuire a rendere non solo più efficace per i cittadini ma anche finanziariamente sostenibile. Ciò è possibile grazie ai guadagni di efficienza dell’assistenza resi possibili dall’impiego della tecnologia, non solo di quella digitale ma anche di quella farmaceutica, e dalla loro crescente integrazione.

Industria e Stato: ruoli distinti in partnership per una strategia comune

Se tutto ciò apre uno scenario di forte riconoscimento pubblico del ruolo dell’industria farmaceutica, è necessario che seguano risposte di policy adeguate sia nei contenuti che nel metodo. A fronte di sfide sistemiche, infatti, è fondamentale un approccio olistico alle politiche industriali, che veda il concorso di tutti gli attori pubblici e livelli istituzionali, e che si svolga attraverso un costante dialogo con l’industriawhole-of-society in questo caso deve tradursi in una vera e propria Strategia sulle scienze della vita, in grado di coordinare gli sforzi di tutti i soggetti in campo, inserendo le risposte politiche – da una governance della spesa pubblica più moderna e attenta alla competitività, all’uso dei dati sanitari e del digitale – in un quadro coerente, consapevole della portata delle sfide e attrattivo.

Questo va declinato anche in termini di adeguati incentivi agli investimenti, evitando complessità procedurali che il più delle volte determinano una superfetazione di regole e controlli di legittimità, che appesantiscono e rallentano l’operato delle aziende e ne penalizzano la propensione all’innovazione. Mentre al contrario ciò che serve è incentivazione orientata ai risultati, neutralità tecnologica, semplificazioni, forte tutela della proprietà intellettuale, necessaria per gli investimenti. È un modello sperimentato con successo durante la pandemia ed impostato sulla collaborazione fra autorità e industria nella chiarezza dei ruoli, che merita di essere reso strutturale.

Soprattutto in sede europea si deve far valere la necessità di evitare un’impostazione dirigista, e dunque lenta, che sfoci in una ingerenza pubblica nelle scelte industriali, con tutto ciò che questo comporta per l’efficienza di un settore. Iniziative pubbliche di incentivazione che non rispettino il principio di neutralità tecnologica – non solo nel campo dell’energia o dell’automotive, ma anche in quello delle tecnologie farmaceutiche, come nel caso della Strategic Technologies for Europe Platform (STEP) europea – anziché ampliare il campo della ricerca, fissando dei risultati e lasciando alla scienza e all’industria i metodi per raggiungerli, finiscono per circoscriverlo. L’incrocio fra ricerca, tecnologie e competenze crea tante traiettorie di innovazione, che si rinnovano ulteriormente con l’uso dell’intelligenza artificiale. Non dobbiamo precluderci in partenza alcuna strada per realizzarla.

L’industria farmaceutica, fra i settori indicati come strategici, è probabilmente l’unico a registrare una presenza di aziende private pressoché totale. È una ricchezza, ma che richiede la consapevolezza da parte dei decisori che esse saranno tanto più in grado di fornire il loro contributo alla crescita e alla sicurezza delle nostre società quanto più saranno competitive e libere di perseguire le proprie traiettorie di crescita.

Redazione

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