Ipotesi di rischio coronavirus con il bagno al mare o al lago

Ipotesi di rischio coronavirus con il bagno al mare o al lago

Roma, 20 apr. (askanews) – Anche le acque reflue non adeguatamente depurate possono essere un pericoloso veicolo di contagio da coronavirus? E’ una eventualità che gli scienziati non escludono e che stanno studiando. In un documento diffuso dall’Epicentro Iss in piena emergenza coronavirus, e diretto ai gestori del servizio idrico integrato e alle autorità ambientali e sanitarie, viene illustrato che “i virus escreti con feci, urine, vomito, saliva o secrezioni respiratorie entrano nel sistema fognario. Gli scarichi idrici interni agli edifici possono generare aerosol carico di virus determinando un rischio di esposizione. I virus vengono trasportati attraverso il sistema fognario verso l’impianto di trattamento delle acque reflue, dove l’esposizione attraverso aerosol è limitata a operatori professionali adeguatamente protetti attraverso dispositivi di protezione individuale (DPI)”.

“I virus che entrano nell’impianto di depurazione vengono generalmente inattivati dai processi di trattamento fisici, biologici e chimici”, e che “scarichi illeciti possono far confluire acque reflue potenzialmente contaminate direttamente nel corpo idrico recettore”, inoltre “le fosse biologiche convenzionali, usate nel caso di edifici non allacciati a una rete fognaria, possono contenere patogeni virali con conseguenti rischi di esposizione per gli operatori al servizio di spurgo e eventuali soggetti presenti in prossimità dei luoghi di operazione”.

In particolare, sottolinea il Rapporto dell’Iss, “negli ultimi decenni, l’attenzione si è rivolta anche ai virus non enterici, responsabili prevalentemente di malattie respiratorie. I due gruppi principali di questi virus che potrebbero rappresentare motivo di preoccupazione per il ciclo idrico integrato appartengono alle famiglie Orthomyxoviridae (virus dell’influenza) e Coronaviridae (SARS e MERS coronavirus).

Questi virus sono noti per essere stati responsabili di epidemie e pandemie come l’influenza H1N1 “spagnola” (1918-1920), l’influenza aviaria H5N1 (1997-oggi), l’influenza H1N1 (2009-2010), la SARS-CoV (2002-2003), la MERS-CoV (2012), l’influenza aviariaH7N9 (2013-oggi) e, per ultima, la pandemia in corso SARS-CoV-2 (2020).

Per questi gruppi di virus, non vi sono ad oggi evidenze di trasmissione idrica, tuttavia, ne è dimostrata la presenza nelle feci, urine ed escreti dei pazienti con infezione; ne consegue che i virus possono entrare nel ciclo idrico attraverso le acque reflue”, chiarisce il documento.

In Italia, secondo gli ultimi dati di Goletta Verde Legambiente, il 25% della popolazione non è servita da un adeguato servizio di depurazione e gli scarichi non depurati finiscono nei nostri mari.

Se dunque la tanto agognata fase 2 consentirà uno scorcio di vacanza, bisognerà tener conto non solo delle distanze in spiaggia, ma anche della salute delle acque di mari e laghi. Dei 262 punti campionati nelle 15 regioni costiere italiane dalla Goletta Verde, infatti, più del 36% è risultato con valori di inquinanti elevati (di questi il 29% sono stati giudicati fortemente inquinati, il 7% inquinati).

Il monitoraggio, i dati risalgono allo scorso anno, ha indagato Enterococchi intestinali, Escherichia coli e ha considerato come “inquinati” i campioni in cui almeno uno dei due parametri supera il valore limite previsto dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia e “fortemente inquinati” quelli in cui i limiti vengono superati per più del doppio del valore normativo.

“Le foci di fiumi e torrenti, gli scarichi e i piccoli canali sono i veicoli principali di contaminazione batterica dovuta alla insufficiente depurazione dei reflui urbani o agli scarichi illegali che, attraverso i corsi d’acqua, arrivano in mare e nei laghi – spiega Serena Carpentieri, vice direttrice generale di Legambiente -. Questi punti critici sono ignorati dai controlli ufficiali, etichettati come inquinati per definizione eppure spesso ci troviamo persone a fare il bagno, anche a causa dell’inesistenza di cartelli informativi o di divieto di balneazione. Anche se con il nostro monitoraggio non vogliamo rilasciare patenti di balneabilità o sostituirci alle autorità competenti, le situazioni che rileviamo destano molta preoccupazione”.

Nel dettaglio, dei 262 punti campionati nelle quindici regioni costiere italiane da Goletta Verde più del 36% è risultato con valori di inquinanti elevati (di questi il 29% sono stati giudicati risultati Fortemente Inquinati; il 7% Inquinati). Il restante 64% dei campionamenti è risultato entro i limiti di legge.

Il 51% dei campionamenti, 135 su 262 punti, è stato eseguito presso foci di fiumi e torrenti, fossi o canali, risultando inquinato nel 62% dei casi. Il 49% presso spiagge con situazioni sospette invece hanno rilevato cariche batteriche elevate solo nell’8% dei prelievi e delle analisi eseguite.

Inoltre, nel 72% dei casi monitorati da Goletta Verde rispetto ai 131 punti dove la balneazione è vietata (o per divieto temporaneo di balneazione o perchè non monitorata), non c’è nessun cartello che indichi chiaramente il divieto di balneazione; anche se spesso in questi punti si trovano molte persone a fare il bagno, ignari dei rischi per la propria salute.

Un viaggio da nord a sud della penisola durante il quale sono stati presi in esame 83 punti per le analisi microbiologiche. Il 34% di questi è risultato Fortemente Inquinato (21 punti) o Inquinato (7). Degli 83 punti oggetto di analisi, 35 corrispondono a porzioni di laghi definiti balneabili dalle autorità competenti; 44 non risultano campionati; 2 sono aree con divieto temporaneo di balneazione. Dei 35 punti definiti balneabili dalle autorità competenti, 11 sono risultati con cariche batteriche oltre i limiti di legge (di questi 5 giudicati Inquinati e 6 sono Fortemente Inquinati). Dei 44 punti non campionati invece dalle autorità competenti, ben 16 presentavano cariche batteriche elevate (14 giudicati Fortemente Inquinati e 2 Inquinati).

Un problema che ha interessato anche l’Unione Europea se, come più volte ricordato dal presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, “delle quattro procedure di infrazione aperte dall’Unione Europea a causa della cattiva depurazione del nostro Paese, che coinvolgono 1.122 agglomerati urbani e 32 aree sensibili, due sono già sfociate in condanna e altre potrebbero arrivare presto, creando una cabina di regia unica come già si è iniziato a fare con il commissario di Governo”.

Redazione

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