OMS e pandemia: il catalogo degli errori

OMS e pandemia: il catalogo degli errori

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è stata accusata di aver compiuto numerosi errori nei primi mesi del 2020. Queste le principali accuse nei confronti del suo operato:

Dare al mondo un falso senso di sicurezza in merito al Covid-19
Il virus SARS-CoV-2 aveva raggiunto l’Europa prima che le autorità cinesi ammettessero che si era diffuso nella città di Wuhan. In Cina il virus è stato trasmesso da persona a persona almeno un mese prima che le autorità e l’OMS riconoscessero pubblicamente il fatto. I medici cinesi erano a conoscenza della minaccia già dalla fine di dicembre, ma sono rimasti in silenzio.

Non c’è dubbio che il governo cinese sia stato tutt’altro che sincero sull’entità del problema. A difesa dell’OMS viene detto che l’agenzia fa affidamento sull’onestà dei governi. Non ha propri informatori sul territorio.

Anche se questo è vero, ed è facile con il senno di poi essere critici, l’OMS è parsa comportarsi in maniera ingenua nelle prime settimane seguente lo scoppio della crisi.

Alcuni scienziati hanno avuto una percezione più chiara. Il 18 gennaio, il Centro MRC per l’analisi globale delle malattie infettive ha stimato che il numero reale di infezioni a Wuhan era probabilmente più vicino a 1.700 rispetto ai 41 casi ufficialmente segnalati. Il professor Jonathan Ball dell’Università di Nottingham ha dichiarato alla BBC che parlare di soli «41 casi di “sconfinamento” animale-uomo è forse un po’ eccessivo e probabilmente l’infezione è più seria di quanto sia stato rilevato finora». Con casi già registrati in Thailandia e Giappone, il professor Neil Ferguson dell’Imperial College ha tratto la logica conclusione: «Se Wuhan ha esportato tre casi in altri Paesi, dovremmo ritenere che [in Cina] vi siano molti più casi di quelli segnalati» (Gallagher 2020) . In questa fase, l’OMS accettava ancora l’idea improbabile secondo cui non c’erano stati nuovi casi in Cina per due settimane e che non fosse ancora chiaro se ci fosse trasmissione del virus da uomo a uomo.

L’OMS ha contribuito al generalizzato senso di noncuranza anche grazie al ritardo con cui ha dichiarato che il COVID-19 era una crisi sanitaria globale.

Il 22 gennaio, ha esitato nell’attesa di decidere se attribuire all’infezione la qualifica ufficiale di «emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale», ossia «un evento straordinario» che comporta «la diffusione globale di malattie» che «potenzialmente richiede una risposta internazionale coordinata».

Sebbene il Covid-19 sembrasse soddisfare questi criteri, il dottor Tedros (direttore generale dell’OMS) si è rifiutato di fare una tale dichiarazione quando l’OMS ha discusso la questione il giorno successivo, e solamente il 30 gennaio l’OMS ha dichiarato che eravamo al cospetto di un’emergenza di sanità pubblica di interesse globale. A quella data, le infezioni da uomo a uomo erano state confermate in Germania, Stati Uniti, Vietnam e Taiwan.

Con i suoi tipici modi, Tedros ha annunciato tale decisione aggiungendo queste parole: «Questa dichiarazione non è una mozione di sfiducia verso la Cina. Questo è il momento della solidarietà, non dello stigma».

La dichiarazione di una pandemia è stata ancora più tardiva. Secondo la definizione dell’OMS, devono esserci epidemie da uomo a uomo in più di una regione affinché un’epidemia sia classificata come una pandemia.

Proprio questo stava accadendo già dall’ultima settimana di gennaio. Alla fine di febbraio, Marc Lipsitch, un epidemiologo dell’Harvard T. H. Chan School of Public Health, ha affermato: «Qualunque cosa dica l’OMS, penso che le condizioni epidemiologiche per una pandemia siano soddisfatte. In base a quasi tutte le definizioni ragionevoli di pandemia, ora ci sono le prove che ci troviamo alle prese con una pandemia» (Callaway 2020). Ma solo l’11 marzo l’OMS ha dichiarato ufficialmente che quella in corso era una pandemia.

Non si tratta solamente di una banale questione terminologica, come ha spiegato Basham (2020: 11):

«Dichiarando che una crisi di salute pubblica è una pandemia, storicamente l’OMS ha invitato i governi a preparare i loro Paesi per fronteggiare una potenziale situazione di emergenza. Il Times ha scritto che: “Questa conferma formale accelera le decisioni sulla composizione, il dosaggio e la programmazione dei vaccini. Facilita ulteriormente l’orientamento per il miglior uso dei farmaci antivirali. Dichiarare una pandemia è qualcosa di più che semplice semantica. Aiuta a standardizzare le risposte nazionali, fa pressione sui Paesi per aggiornare i loro piani d’intervento e allocare gli spazi degli ospedali”».

Quando l’OMS ha dichiarato la pandemia, il lockdown in Italia era già cominciato da due giorni e a Wuhan da ben sette settimane. Almeno 120.000 persone erano state infettate in oltre 100 Paesi e 4.000 persone erano già decedute.

Opposizione al divieto di viaggiare
La risposta iniziale di Donald Trump al Covid-19 è stata quella di sminuire i rischi, paragonando il virus all’influenza stagionale e sostenendo che sarebbe scomparso «come per miracolo». Sebbene in seguito sia stato costretto a prendere la malattia più seriamente, l’unica misura efficace che ha introdotto nelle fasi iniziali è stata il divieto di viaggiare in Cina (2 febbraio) e in 26 Paesi europei (14 marzo). È ormai ampiamente accettato che queste restrizioni abbiano limitato il numero di casi importati. Diversi studi hanno dimostrato i vantaggi di divieti simili imposti in Australia (Costantino et al.2020) e Giappone (Anzai et al.2020), così come all’interno della stessa Cina, dove Wuhan è stata messa in stato di quarantena (Wells et al.2020).

L’OMS ha sconsigliato tali misure, anche dopo che la trasmissione del virus da uomo a uomo era diventata innegabile. Il 30 gennaio, parlando della risposta cinese all’emergenza, il dottor Tedros ha detto che questo paese (OMS 2020c):

«Ha fatto cose incredibili per limitare la trasmissione del virus ad altri Paesi. E quando un Paese va rispettato, non può certo essere punito. Questo significa che se qualcuno sta pensando di prendere provvedimenti [contro la Cina], è in errore. L’OMS non raccomanda, anzi in realtà si oppone, a qualsiasi restrizione ai viaggi e agli scambi o ad altre misure contro la Cina».

È significativo che Tedros abbia considerato i divieti di viaggio dal punto di vista della Cina, come una forma di punizione piuttosto che un modo per gli altri Paesi di proteggersi. Qualunque fosse la motivazione dell’OMS per opporsi al divieto di viaggiare, si trattava di un consiglio pericoloso che la maggior parte dei Paesi avrebbe saggiamente dovuto ignorare.

Opposizione alle mascherine
Alla maggior parte delle persone, sembra solo buon senso che le mascherine offrano una certa protezione – per chi le indossa e per tutti gli altri – contro un virus che viene diffuso dalle particelle d’aria espirate.

Prima che la pandemia iniziasse, c’erano ampie prove a sostegno di questa ipotesi (si vedano Chu et al.2020 per una sintesi). Le mascherine a copertura del viso sono oggi obbligatorie in molti luoghi pubblici in tutto il mondo.

Alla fine di gennaio, l’OMS ha pubblicato una guida sulle maschere. Per le persone che non avevano sintomi respiratori, vi era scritto che «una mascherina non era necessaria, poiché non sono disponibili prove sulla sua utilità per proteggere le persone non malate» (OMS 2020d). L’OMS non era la sola organizzazione che scoraggiava le persone dall’indossare le mascherine. Lo US Surgeon General e il Public Health England hanno fatto lo stesso. La vera ragione di tale scelta è stata accennata in una successiva pubblicazione dell’OMS in cui si osservava che «l’attuale domanda di respiratori e maschere non può essere soddisfatta» (WHO 2020e).

Con il progredire della pandemia, è stato un segreto di Pulcinella che il passaggio da «non raccomandato» a «consigliato» a «obbligatorio» non sia stato guidato dalla scienza, ma dalla necessità di conservare le scarse risorse per il personale medico (che i medici avessero bisogno di mascherine era un’ulteriore prova del fatto che offrissero una certa protezione). La posizione dell’OMS è cambiata in qualche modo nell’aprile 2020, quando ha raccomandato alle persone che sospettavano di avere il Covid-19 «di indossare il più possibile una mascherina», sempre sottolineando però che «le mascherine dovrebbero essere riservate agli operatori sanitari» (WHO 2020f).

Il consiglio sull’uso delle mascherine potrebbe essere stato una «nobile menzogna» progettata per proteggere le linee di approvvigionamento, ma ha instillato nelle persone una certa noncuranza (sono state portate a credere che il lavaggio delle mani offrisse una protezione sufficiente) e ha reso più difficile per i governi incoraggiare l’uso della mascherina una volta terminata la sua carenza globale.

Non considerare Taiwan
La risposta di Taiwan al Covid-19 è stata un modello per il resto del mondo. Un’isola di 23 milioni di persone al largo delle coste cinesi, a tutt’oggi ha avuto meno di 500 casi e solo sette morti. Facendo tesoro dell’esperienza avuta con la SARS, ha iniziato a sottoporre a screening i passeggeri provenienti dalla Cina non appena sono stati segnalati i primi casi a Wuhan e il 26 gennaio ha sospeso tutti i voli da e per la Cina. Ha limitato il numero di mascherine che le persone potevano acquistare per garantire che tutti potessero averne e ha aumentato notevolmente la produzione di mascherine e disinfettanti per le mani. Taiwan non ha imposto alcun lockdown.

A causa delle pressioni della Cina, Taiwan non ha un seggio alle Nazioni Unite e quindi non può essere membro dell’OMS. Nel 2017, la Cina è riuscita a far bandire Taiwan dall’Assemblea mondiale della sanità dell’OMS, alla quale partecipava come osservatore.

Il mondo aveva molto da imparare da Taiwan, soprattutto nelle prime fasi di diffusione del virus, ma mentre l’OMS elogiava la Cina per «aver stabilito un nuovo standard nella risposta alle epidemie», era riluttante a elogiare Taiwan, o addirittura a parlare del suo caso. Il 28 marzo, il dottor Bruce Aylward, un consulente del direttore generale dell’OMS, ha rilasciato un’intervista online in cui sembra interromperla bruscamente mentre l’intervistatrice lo incalzava sul rapporto dell’OMS con Taiwan:

Intervistatrice: L’OMS prenderà in considerazione l’adesione di Taiwan?
Aylward: [lunga pausa]
Intervistatrice: Pronto?
Aylward: Mi dispiace. Non ho sentito la tua domanda, Yvonne.
Intervistatrice: OK, ripeto allora la domanda.
Aylward: No, fa lo stesso. Passiamo a un’altra domanda.
Intervistatrice: In realtà sono curioso di parlare anche di Taiwan, del caso di Taiwan …
[La linea si interrompe]

Quando la giornalista ha chiamato di nuovo Aylward e gli ha chiesto di commentare il modo in cui Taiwan aveva gestito il virus, ha detto: «Bene, abbiamo già parlato della Cina».[1]

Alla domanda, formulata in occasione di una conferenza stampa dell’8 aprile, se le critiche di Donald Trump abbiano sminuito la sua autorità, il dottor Tedros si è lanciato in un monologo in cui accusava Taiwan di aver lanciato una campagna razzista contro di lui:

«Non mi interessa se mi chiamano negro. Lo sono. È quello che ci si può aspettare da certi ambienti e, se volete che sia più preciso, tre mesi fa questo attacco è arrivato da Taiwan. Dobbiamo essere onesti. Oggi sarò molto franco. Da Taiwan. Taiwan, compreso il ministero degli Esteri conosceva questa campagna denigratoria. Non si sono dissociati. Hanno persino iniziato a criticarmi nel bel mezzo di tutti quegli insulti ma non me ne sono curato; tre mesi. Lo dico oggi perché ne ho abbastanza, ma possono continuare ancora».[2]

Non è chiaro a cosa si riferisse Tedros. Taiwan ha negato fermamente l’accusa.

Nonostante tredici Stati membri chiedessero di invitare Taiwan all’Assemblea mondiale della sanità tenutasi nel maggio 2020, tale invito è stato nuovamente negato. (da leoniblog.it)

 …….uno stralcio dello IEA briefing paper “You Had One Job: The shortcomings of Public Health England and the World Health Organization during the Covid-19 pandemic” di Christopher Snowdon

 

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