Test sierologici in Lombardia, una scelta incomprensibile

Test sierologici in Lombardia, una scelta incomprensibile

La Lombardia è la regione che più di tutte nel nostro paese ha subito le conseguenze negative del diffondersi del covid-19, con poco meno di 90.000 contagi e circa 16.000 morti (su totali nazionali di circa 233.000 e 33.000, rispettivamente). Dal momento che la Lombardia è anche la regione che più si distingue dalle altre per modello sanitario regionale adottato, non stupisce che tale modello sia ora finito sotto accusa. La specificità del sistema sanitario regionale lombardo, è bene ricordarlo, non sta tanto nella diffusione del privato tra gli erogatori di servizi sanitari (più diffuso in altre regioni, come Lazio e Campania), quanto piuttosto su due principi intorno a cui dal 1997 si è sviluppato il sistema regionale: la libertà di scelta del paziente e la netta distinzione tra le competenze di erogazione del servizio, in capo a operatori pubblici e privati in concorrenza tra loro, e quelle di controllo e finanziamento, in capo alla Regione e alle Agenzia di Tutela della Salute. Prima della pandemia, questo sistema si distingueva per l’elevata attrattività delle sue strutture (dalle altre regioni e dall’estero) unita a un efficiente utilizzo delle risorse, con un’incidenza della spesa pubblica sanitaria sul PIL regionale inferiore al 6%. Oggi, l’apparente fallimento nel contrastare il dispiegarsi del virus dà vigore alle argomentazioni di coloro che vorrebbero cambiare questo modello o  centralizzare le competenze sulla sanità a livello nazionale.

Se costoro riusciranno a essere sufficientemente persuasivi, è dunque possibile che tra le tante conseguenze indirette di questa pandemia dovremo annoverare anche la rovina di una delle poche eccellenze rimaste in questo paese. A giudicare dall’atteggiamento di chi il sistema lo dovrebbe difendere, ovvero l’attuale governo regionale, questo scenario non solo sembra possibile ma purtroppo anche probabile. Il caso dei test sierologici rappresenta bene questo atteggiamento di rinuncia alla propria specificità.

I test sierologici consentono di individuare la presenza di anticorpi al virus. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature mostra come il 100% dei 285 pazienti positivi al covid-19 coinvolti nell’indagine abbiano poi sviluppato anticorpi al virus. Nello stesso articolo si sottolinea l’importanza dei test sierologici per l’identificazione dei pazienti asintomatici e per una stima più precisa di quanto la pandemia si sia effettivamente diffusa.

I test sierologici possono essere di tipo qualitativo, ovvero utili a stabilire se una persona ha sviluppato o non ha sviluppato gli anticorpi, o quantitativo, destinati a definire la quantità di anticorpi presenti nell’organismo. Per i primi è sufficiente esaminare una goccia di sangue prelevata con una penna pungidito da cui si ottiene riscontro immediato, mentre per i secondi è necessario un prelievo di sangue e uno specifico analizzatore (si veda qui per un’attenta disamina). In entrambi i casi si tratta di tecniche non particolarmente sofisticate, che qualunque infermiere, medico o studente di medicina potrebbe padroneggiare senza particolari difficoltà.

Pur con tutti i limiti di questi test e delle informazioni che da questi si possono ottenere (per esempio, al di là della sensibilità e sensitività dei test stessi, la presenza degli anticorpi nell’organismo è temporanea e non è ancora chiaro quanto tempo rimanga), di fronte all’incertezza sarebbe bene accrescere le opportunità di apprendimento. Adottare il distanziamento sociale come unica strategia di contrasto alla pandemia si sarebbe potuto fare anche nel medioevo. Parrebbe ragionevole aumentare le possibilità di godere dei benefici del progresso scientifico e tecnologico a disposizione, senza rendere troppo stringenti i requisiti da rispettare per poter fare questi semplici test. E invece Regione Lombardia, con la delibera 3131 del 12 maggio scorso, ha stabilito che i test sierologici “devono essere effettuati esclusivamente in laboratori di microbiologia e virologia o con sezione specializzata in microbiologia e virologia autorizzati e/o accreditati e/o a contratto con il SSR”. E’ difficile spiegare una scelta di questo tipo. I kit per i test a pungidito per misurare la glicemia, per esempio, si acquistano anche su amazon e si possono fare anche a casa. Un prelievo di sangue è in grado di farlo qualunque tipo di personale minimamente specializzato e per l’analisi serve solo lo strumento adatto. Molti studi medici, anche non specializzati in microbiologia e virologia, si sarebbero dotati di questo strumento per rispondere alla domanda di test sierologici. Ne avrebbero beneficiato i pazienti, per i quali sarebbero aumentate le possibilità di scelta, coerentemente con il principio della libertà di scelta del paziente su cui si è fondata la fortuna del sistema lombardo, e ne avrebbero beneficiato le autorità pubbliche, per le quali sarebbero aumentate le informazioni a disposizione sulla diffusione del virus. In alcun modo questo sarebbe andato a detrimento del sistema sanitario regionale e della copertura da esso garantita, dal momento che questi test li fanno i cittadini a proprie spese. Probabilmente dunque, senza i restringimenti della delibera del 12 maggio, molti studi avrebbero investito risorse per offrire questo servizio di cui ora molti pazienti sentono il bisogno, si sarebbero fatti più test e si sarebbero avute più informazioni preziose a disposizione. E invece si è deciso di contingentare l’offerta (qui si trova l’elenco completo e statico dei laboratori operativi), così che si avranno meno test e meno informazioni sulla pandemia. A eccezione dei laboratori specializzati a cui si garantisce riparo dalla concorrenza, in buona sostanza tutti stanno peggio. Così la sanità lombarda, fondata tradizionalmente su un equilibrio fra pubblico e privato, rinnega se stessa.

Paola Belardinelli – leoniblog.it

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