Luca Ruggero Jacovella: il pianoforte poetico, tra romanticismo, improvvisazione e ricerca
Incontriamo il pianista Luca Ruggero Jacovella dopo un suo concerto al Teatro Ghione di Roma. Professionista poliedrico e plurititolato, si è esibito in mezzo mondo: dagli Stati Uniti a Singapore, dal Messico alla Giordania e al Giappone. Consulente esperto in materia di plagi, nonché ricercatore indipendente nell’ambito del pensiero musicologico, il Maestro ci offre interessanti spunti per la nostra conversazione.
Il tuo originale eclettismo pianistico, nell’attraversare diversi generi musicali, credo ti possa identificare come un pianista che si “nutre” di jazz per trascenderlo e declinarlo con libertà: da cosa nasce questa attitudine?
L: Da ragazzo ho studiato intensamente la musica classica, con particolare riguardo al repertorio pianistico romantico e tardo-ottocentesco, e solo verso la fine di questo lungo percorso accademico ho affrontato lo studio e la pratica del jazz con grandi maestri, attraverso il quale ho potuto esprimere la mia parte creativa. Il pianismo classico ha determinato in me, perciò, un imprinting che ha condizionato la mia viscerale ricerca del suono, del tocco, della concezione orchestrale del pianoforte, applicati, però, ad un fare musica sempre estemporaneo, nel divenire del qui ed ora.
Allo stesso modo il jazz, per me, è sempre stato un mezzo attraverso il quale rielaborare materiali altri, e non il fine. Mi trovo a mio agio, infatti, anche nel lirismo della canzone napoletana come nelle struggenti melodie turche.
Ti abbiamo ascoltato recentemente in un suggestivo concerto per Candlelight, che trasforma la performance in una vera esperienza immersiva per lo spettatore. Puoi raccontarci il tuo punto di vista?
L: Candlelight Concerts è un concept effettivamente molto suggestivo che permette di avvicinare alla musica d’arte un nuovo e vasto pubblico. Mi esibisco per Fever, l’azienda organizzatrice, in concerti tributo ad Ennio Morricone, a Nino Rota e ad altri grandi compositori di musiche del Cinema, nonché nel repertorio di colonne sonore di film magici e film d’animazione, tanto amato dal pubblico.
Dal mio punto di vista si tratta di un piacevole ritorno al rito “antico” della musica e della performance, nel quale viene a crearsi una magica interconnessione con gli spettatori, predisposti – già dall’ambientazione a lume di candela – verso un intenso scambio emotivo.
Un concerto che vorresti vedere, il prossimo che vorrai fare e uno che ha rappresentato uno stimolo, un riferimento per la tua creatività e professione.
L: Vorrei poter assistere ad un concerto di Stevie Wonder, uno dei pochi iconici artisti della seconda metà del novecento che purtroppo ancora non ho avuto il piacere di vedere.
In futuro spero di poter suonare nuovamente in giro per il mondo, come prima della pandemia, interpretando il repertorio dei grandi compositori italiani da film (quali Morricone, Rota, Trovajoli, Piccioni, ecc.) sempre attraverso l’estro e la creatività del momento, mediati dal mio pianoforte.
Guardando ai miei concerti del passato, non posso non ricordare le performance realizzate insieme a Tony Scott, una leggenda mondiale della storia del jazz. In quelle straordinarie occasioni ho percepito di fare parte di un grande ed incessante flusso di energia musicale che si alimenta – in misura diversa – attraverso i contributi di ogni artista…
La visione, una matrice onirica cinematografica, sembra essere una sorgente inesauribile ispirativa per i tuoi concerti, eppure sei un “audiotattile” d.o.c.!
L: Indubbiamente la musica che più mi piace suonare in concerto è quella tratta dal Cinema, che filtro e reinvento sul momento secondo la mia personale sensibilità. Cerco quindi di (ri)evocare nel pubblico, quasi sinesteticamente, immagini, esperienze e sogni di una vita.
Il mio essere audiotattile si esplica proprio rispondendo agli stimoli che ricevo dal pubblico e dai colleghi sul palco, traducendoli in energia performativa e musicale che determinano la forma stessa. Per citare il filosofo Luigi Pareyson e la sua teoria della formatività, potrei ben definire il mio fare musica al pianoforte come “quel fare che mentre fa inventa il modo di fare”!
Un luogo che ancora non c’è per la musica: negli anni ‘50 c’erano i nightclub, i dancing…secondo te oggi cosa manca, nel mare delle cose che non ci sono?
L: Sono rimasto molto colpito, viaggiando per il mondo, dal vitalismo musicale presente in molti paesi: in Messico esiste la tradizione dei Mariachi, gruppi musicali del loro folklore che migrano di locale in locale e di piazza in piazza durante la stessa sera; in Turchia la musica tradizionale vive in ogni ambiente pubblico e tutte le persone la amano incondizionatamente; in molte capitali europee, e non solo, i concerti nei club riempiono ben due appuntamenti serali, ai quali si recano, per ritrovarsi, anche gli impiegati appena usciti dall’ufficio. In Italia (salvo poche eccezioni) tutto questo, purtroppo manca. Qualcosa si è spento nel corso di un avvenuto cambiamento antropologico e delle abitudini. Confido, però, in una graduale ripresa della “fiammella” …
Concerti all’estero e compagni di viaggio autorevoli, uno in particolare: Cicci Santucci.
L: Cicci Santucci, storico trombettista del jazz italiano che da tempo vive negli Stati Uniti, è stato l’interprete originale del tema d’amore del film “La Leggenda del Pianista sull’Oceano”, e di altre magnifiche composizioni di Ennio Morricone. Con lui abbiamo condiviso quasi tre decenni di concerti su musica da film, tra i quali ricordo con piacere quello di New York, di Miami, poi l’esibizione in occasione del premio alla carriera a Martin Scorsese durante la Festa del Cinema a Roma, e finanche il concerto al Teatro Fenaroli di Lanciano, città nella quale ha vissuto il Maestro Santucci da giovane.
La tua formazione accademica e la tua ricerca in campo teorico, ti hanno permesso di poter delineare nuovi modelli per il diritto d’autore. Ce ne vuoi parlare?
L: Nel mio percorso ho approfondito, più recentemente, studi musicologici di tipo transculturale che mi hanno consentito di compiere specifiche riflessioni sulla pratica dell’improvvisazione musicale (e della creazione estemporanea in generale) e su come il sistema giuridico attuale non si sia ancora dotato, in tal senso, di opportuni strumenti concettuali di decodifica dei fenomeni. Dopo diverse iniziative pubbliche volte alla tutela della creatività dei musicisti, nel 2017 ho pubblicato sulla Rivista di Diritto delle Arti e dello Spettacolo uno studio scritto insieme al noto musicologo Prof. Vincenzo Caporaletti (ideatore della “Teoria delle Musiche Audiotattili”), nel quale, appunto, vengono delineati nuovi paradigmi che ineriscono anche la sfera del diritto, ed illustrati gli esiti delle ricerche.
Progetti futuri? Siamo avidi di futuro!
L: Siamo tutti impazienti di riprenderci appieno la libertà delle nostre vite, e di assistere ad un nuovo Rinascimento delle Arti e della Cultura.
A breve termine ho in programma di continuare con i bellissimi concerti Candlelight (21 e 22 dicembre, 10 gennaio, al Teatro Ghione di Roma), e di rendere un omaggio al grande musicista, autore e showman Lelio Luttazzi, con la partecipazione della figlia Donatella, al Teatro Arciliuto il 22 Gennaio.
Sempre a Gennaio suonerò nel celebre jazz club romano Alexanderplatz con il gruppo “Russian Crossover Project”.
Più a lungo termine, vorrei riprendere la scrittura di alcune ricerche musicologiche e la registrazione di un nuovo album.
Gennaro Ruggiero – Direttore Nuove 24