Intervista a Geronimo Cardia

Intervista a Geronimo Cardia

Geronimo Cardia, avvocato cassazionista, dottore commercialista, revisore contabile, curatore fallimentare e consulente tecnico presso il Tribunale Civile ed il Tribunale Penale di Roma. Dopo circa 10 anni di attività, presso un importante studio legale internazionale, fonda nel 2004 lo studio da cui origina lo studio Cardia e Cardia (www.gclegal.it). Da oltre vent’anni svolge incarichi di presidente o componente di collegi sindacali e di revisori, di organismi di vigilanza e liquidatore. È impegnato da oltre quindici anni nel settore del gioco pubblico regolamentato. È Presidente di Acadi, l’Associazione di categoria dei concessionari di giochi pubblici aderente a Confcommercio Imprese per L’Italia e ha collaborato con diverse associazioni del comparto con la responsabilità dei tavoli legali. Già professore a contratto di Diritto Tributario e di Diritto Tributario Internazionale del corso di laurea specialistica in Scienze Manageriali presso l’Università G. D’Annunzio di Chieti, è relatore a diversi convegni ed incontri di studio, è autore del testo “La questione territoriale. Il proibizionismo inflitto al gioco legale dalla normativa locale”, (Edizioni 2016 – GN Media) e del testo “Profili giuridici delle privatizzazioni”, (Edizioni 1994 – IlSole24ore libri) oltre che di numerose pubblicazioni su riviste specializzate.

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Il Movimento 5Stelle è tornato a parlare, durante la formazione del nuovo Governo, di contrasto al gioco d’azzardo patologico, passando quindi da una posizione “semi proibizionista” al riconoscimento della patologia. Pensa che sia corretta la definizione che hanno utilizzato?

“Il contrasto al disturbo da gioco d’azzardo, e non solo al gioco d’azzardo patologico, rappresenta il primo obiettivo, se non proprio la ragion d’essere, del sistema concessorio e del comparto del gioco pubblico che, anche e soprattutto per questo, mette a disposizione dei cittadini un’offerta di prodotti regolamentata e misurata dallo Stato attraverso il canale distributivo di operatori qualificati, selezionati e controllati che presidiano i territori (ove ciò risulta ancora consentito dai distanziometri viziati da errore tecnico che determina il pluridenunziato effetto espulsivo), confinando di fatto l’offerta di prodotti incontrollati, e per questo per definizione nocivi, messi a disposizione invece dall’illegalità. Il presidio dei territori con un’offerta pubblica di gioco stabile, misurata, capillare e qualificata, col compito di distribuire prodotti sempre più regolamentati, misurati e controllati attraverso l’innovazione e l’evoluzione tecnologica, il processo di maturazione della domanda di gioco attraverso il raggiungimento di una consapevolezza piena attraverso messaggistiche adeguate, prevenzione e coinvolgimento di sistema delle strutture sanitarie del territorio rappresentano strumenti di contrasto al disturbo in una democrazia evoluta ed inserita in un contesto internazionale come quello europeo. L’orizzonte è chiaro, il cammino è ancora lungo, le tappe sono tante ma il tempo a disposizione è poco: riordino e stabilità di sistema concessorio, che rappresentano i pilastri per l’attuazione del contrasto concreto al disturbo da gioco d’azzardo, non possono far aspettare utenti, lavoratori, imprese ma neanche territori, Regioni, Enti Locali e Stato per la stabilità della prevenzione, dell’azione sanitaria, del gettito erariale e del contrasto all’illegalità”

Si occupa da anni della regolamentazione del settore gioco pubblico. Facciamo chiarezza sul tema perché ci sono molti pregiudizi che dipingono un’immagine negativa del comparto. Come accennava prima al gioco si associa l’illegalità e persino la malavita. È così?

“Mah, dire così è come dire che agli appalti si associa la corruzione e che alle sigarette si associa il contrabbando e la criminalità. Quello del gioco pubblico oggi è un comparto che allo Stato porta 10 miliardi di euro all’anno solo di imposte sul gioco, che è composto da migliaia di imprese sane, serie, selezionate e monitorate per legge e che danno lavoro a decine e decine di migliaia di lavoratori e dunque famiglie. Dal 2004 mi occupo della regolamentazione del settore e dal 2018 sono Presidente di Acadi (Associazione concessionari di giochi pubblici, aderente a Confcommercio Imprese per L’Italia) e posso affermare che l’illegalità penalizza per prima cosa il settore stesso. Infatti, per dirne una gli operatori del comparto del gioco pubblico sono da anni impegnati nel contrasto al riciclaggio. Alla pari di banche e società finanziarie, i concessionari del gioco pubblico, con il contributo delle filiere che vivono quotidianamente il territorio, e contribuiscono sistematicamente ad un’azione di legalità attraverso gli adempimenti in materia di antiriciclaggio, che consistono nell’individuazione, archiviazione e segnalazione delle operazioni sospette. Queste azioni hanno permesso la creazione di un patrimonio informativo eccezionale per lo svolgimento delle indagini da parte delle Autorità finanziarie, militari e giudiziarie dello Stato. Il tutto senza contare che per svolgere l’attività di concessionario è necessario risultare idonei a termini e condizioni molto stringenti imposti dai bandi di gara che non mancano di pretendere requisiti formali e sostanziali di trasparenza non solo per le aziende ma anche per gli esponenti aziendali”

Recentemente il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha espresso un’opinione positiva verso lo strumento che consente di monitorare, praticamente in tempo reale, il consumo di gioco relativo a Slot, Videolottery, scommesse, Lotto e Bingo. Ma ha criticato il Governo per non aver portato a termine l’intesa sul settore avviata nel 2017. Cosa ne pensa?

“E’ vero che i Governi che si sono succeduti nel tempo non hanno ancora attuato l’Intesa Stato/Regioni ed è altrettanto vero che l’Intesa, raggiunta con fatica dopo le raccomandazioni del Legislatore, di rimuovere l’effetto espulsivo silenzioso imposto dalle leggi regionali, contiene chiaramente strumenti di riduzione dell’offerta pubblica di gioco, rispettando il principio della permanenza del gioco pubblico sui territori. S’impone dunque una riduzione ma, allo stesso tempo la presenza capillare, con l’obbligo in capo alle Regioni, di rimuovere le regole esistenti che determinano l’effetto espulsivo di fatto. L’azzeramento dell’offerta pubblica non cancella la domanda che per definizione si rivolge all’offerta illegale: ecco perché l’inattuazione dell’Intesa è un favore servito su un piatto d’argento all’illegalità. Prevedere un dimezzamento dell’offerta pubblica, come auspicato da Gori, senza attuare l’Intesa nella sua interessa e dunque senza rimuovere gli errori tecnici delle leggi regionali attuali, che di fatto la annientano, significa quindi dimezzare il numero zero, confermare l’apertura delle porte ad offerte parallele e illegali, per la soddisfazione di una domanda di gioco che comunque esiste e non si cancella. La vera sfida e’ rimuove gli errori tecnici, diradare sapientemente l’offerta pubblica, assicurare la sua presenza capillare, qualificare l’offerta, attraverso prodotti regolamentati, ben controllati distribuiti da una filiera preparata e formata, e qualificare la domanda di gioco per una sua rapida e sempre più consapevole maturazione con ogni mezzo di informazione e dissuasione”.

La sua professione la porta ad occuparsi di economia. Evitata la procedura d’infrazione da parte dell’Europa, il nostro paese è al sicuro?

“Guardo sempre con molta attenzione le prese di posizione dell’Europa nei confronti del Paese, cercando il significato politico oltre a quello economico o giuridico. Non dimentico le parole di qualche tempo fa di Pierre Moscovici, commissario per gli Affari economici e finanziari, al briefing della Commissione europea, in merito alla situazione economia in Italia, secondo cui per l’Ue l’Italia cresce troppo lentamente. O piuttosto le aperture registrate in questo giorni con la formazione del nuovo Governo e della nuova Commissione Europea. Al di là del dato politico che può portare a valorizzare un aspetto piuttosto che un altro, in un momento piuttosto che in un altro, credo sia evidente che le ragioni dei bassi livelli di Pil, che sale solo dello 0,1% per il 2019 e di uno 0,7% nel 2020 siano diverse. Certamente il Paese ha subito e sta subendo, da Paese Debitore, il braccio di ferro ornai ultra decennale tra Paesi Creditori e Paesi Debitori dell’Unione. Lo scenario che si apre ora sembrerebbe dimostrare maggiore consapevolezza rispetto alle esigenze dei Paesi Debitori in un contesto rinnovato in cui l’Europa sembra volersi riavvicinare all’Europa. Ma oltre a queste valutazioni ci sono poi le specificità che ci riguardano da vicino e per le quali siamo direttamente responsabili: pensiamo alla burocrazia ancora lenta e farraginosa, che non solo impone di compiere “salti mortali” a chi opera, ma che addirittura rappresenta una concreta barriera per chi abbia intenzioni d’investire nell’avvio di una nuova attività. Non possiamo più nasconderci dietro la mancanza di risorse perché le riforme per deregolamentare, innovare e razionalizzare gli adempimenti, sono tra l’altro a costo zero. Si vada a vedere ad esempio che pletora e che complessità di adempimenti si può richiede ad un cittadino per dare in affitto una stanza del proprio appartamento. Le norme, in questo caso, come in molti altri, sono rivolte ad un pubblico diverso da quello di imprenditori o professionisti. E questo non fa altro che incentivare il sommerso. Bisogna pertanto trasformare lo scampato pericolo della procedura d’infrazione ed il nuovo monito della Commissione Europea sul Pil – che attribuisce le cause ai consumi privati, sostenuti da prezzi dell’energia piu’ bassi e dal reddito di cittadinanza – in opportunità. Le parole dell’Ue spronino pertanto i Governi ad attuare tra i provvedimenti necessari per far risollevare l’economia italiana anche quelli sulla semplificazione”.

Simbolo del gioco, anche per i non più giovanissimi, è il casinò. Ma in Italia non stanno versando tutti in buone condizioni, come sta accadendo per il Casinò di Campione. Qual è la sua opinione in materia?

“Sembrava finalmente muoversi qualcosa sulla risoluzione dell’annosa questione che da tempo blocca il Comune di Campione d’Italia, enclave italiana in territorio svizzero, dopo il fallimento del Casinò Municipale. Leggevo infatti qualche tempo fa che era sul tavolo dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, la relazione tecnica redatta dal commissario straordinario Bruschi, incaricato dal Governo per predisporre il piano per la riapertura. Nella relazione sono state analizzate le ragioni della crisi, illustrato lo stato attuale delle procedure giudiziali, i debiti verso il Comune e le banche e, le possibili soluzioni per far ricominciare l’attività della casa da gioco. Questa vicenda riporta l’attenzione sulla necessità di un tempestivo e serio riordino del settore che rimuova gli errori tecnici espulsivi, compiuti negli anni a riguardo del comparto del gioco pubblico. Se infatti non si agisce sulle norme regionali e provinciali, che bloccano il settore, potrebbero essere tanti i dossier delle imprese del gioco pubblico che finiranno sul tavolo del Ministro. È necessario che s’intervenga, senza ulteriori ritardi, anche per il riordino dell’intero comparto del gioco pubblico impedendo, così, la cancellazione dell’offerta pubblica di gioco, arginando al contempo la diffusione di quella illegale, attuando le giuste misure di contrasto al disturbo da gioco d’azzardo e contrastando altresì in modo concreto i problemi d’ordine pubblico che ne derivano. Adesso il testimone passa al nuovo Ministro Lamorgese che mi auguro possa finalmente trovare una soluzione per far tornare il Casinò di Campione agli antichi albori”.

Geronimo, negli anni si è specializzato principalmente nel settore delle regolamentazioni e delle concessioni. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del precedente Governo, Centinaio, è tornato a parlarne dopo un incontro con i balneari per definire la linea di Governo in materia di concessioni demaniali. L’Italia ha proposto una proroga di 15 anni sulle concessioni per poi discutere della corretta interpretazione della Direttiva Bolkestein. Ma l’Europa paventa una procedura d’infrazione. È possibile che i singoli Stati e l’Europa abbiamo problemi di dialogo?

“La moratoria e la proroga sono in astratto strumenti di secondo livello, di emergenza, per questo dovrebbero rappresentare un’eccezione. Oggi invece sono diventate sempre di più una regola. La ragione è semplice: forse l’ordinamento giuridico e la burocrazia si sono allontanati un po’ troppo dagli uomini. E per riavvicinarli ci vuole, sempre più spesso, tempo. Troppo tempo. Ecco allora che la sospensione degli effetti di una norma sbagliata a volte salva la vita e per questo diviene la via maestra. Nel frattempo tutti possono rendersene conto e decidere di agire, ognuno per la sua parte. Così vale anche per la Bolkestein dove è necessaria la proroga nell’immediato per le imprese balneari ed, in parallelo, la discussione con l’Unione Europea per fare luce sulla corretta interpretazione della norma ed uscire dal dubbio sull’applicazione corretta della direttiva. Così come ha spiegato da Frits Bolkestein in persona, padre della direttiva, a Roma, il 18 aprile 2018, dichiarando che la direttiva era stata recepita in modo errato dal nostro paese, facendo ritenere che la direttiva sulla libera circolazione dei servizi non deve essere applicata alle concessioni delle spiagge. Sono oltre 30.000 aziende del settore, quasi tutte a gestione familiare, che lottano da anni per scongiurare la chiusura dei propri stabilimenti. Se la direttiva Bolkestein infatti si fosse applicata anche per il loro settore che, comprende in Italia 52.619 concessioni demaniali marittime in Italia, di cui 27.335 per uso turistico-ricreativo, sarebbero finite sul lastrico le oltre 150.000 persone impegnate nel comparto. La direttiva Servizi infatti aveva ridotto la durata delle concessioni a pochi anni, senza tenere conto dei piani di investimento ed indebitamento esistenti, concepiti in precedenza, cuciti su misura su una durata più ampia e per questo a rischio di insostenibilità con la modifica. Solo proteste e manifestazioni, iniziate nel 2007, di imprese, sindacati ed associazioni, hanno portato luce sul tema al punto che Bolkestein in persona, conferma l’errata interpretazione da parte dell’Italia, dovuta ad una traduzione non esatta. La sua spiegazione è riassunta nella frase “le concessioni balneari non sono servizi ma beni. Pertanto, la direttiva sulla libera circolazione dei servizi non va applicata alle concessioni delle spiagge”. Questo pur essendo stato un risultato epocale, soprattutto se si pensa essere stato ottenuto non dal

Governo ma da imprese e lavoratori, non risolve completamente il problema perché adesso deve essere il nostro Paese a legiferare in materia. Il 23 dicembre 2018 il Governo, il particolare il Ministro del Turismo Centinaio, ha proposto l’inserimento, nella legge di Bilancio 2019, della proroga di 15 anni delle concessioni per gli stabilimenti balneari. La Commissione europea, però, ha chiesto all’Italia di ritirare la proroga automatica delle concessioni proposta dal governo Conte e potrebbe ora dar seguito a quanto annunciato, ossia far scattare la proceduta di infrazione che costerebbe, lo aveva ricordato il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, 100 milioni all’anno. Secondo la critica, infatti, la proroga al 2034 senza gara pubblica viola l’articolo 12 della Direttiva Bolkestein. Di qui l’opportunità che tempestivamente l’Unione Europea valuti il tema anche tenendo conto di quanto dichiarato da Bolkestein sulla non applicabilità della direttiva per i balneari. Il mancato dialogo tra le istituzioni, dal momento che oltre l’Ue e l’Italia sono coinvolte Regioni e Comuni, cui si aggiunge la complessità della tematica, ha creato confusione e disinformazione, a discapito di aziende e cittadini. Per tale motivo è necessario che anche in questo caso il nuovo esecutivo se ne occupi fin da subito mettendo finalmente ordine e semplificando il quadro normativo.

Il Consiglio dei Ministri ha esaminato cinquantasei leggi delle Regioni e delle Province Autonome, decidendo di non impugnare la legge della Regione Puglia n. 21 del 17/06/2019, recante “Modifiche e integrazioni alla legge regionale 13 dicembre 2013, n. 43 (Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP))”, che ha ridotto i parametri del precedente distanziometro, eliminando diversi luoghi sensibili e riducendo i metri di interdizione da 500 a 250, e lo ha circoscritto alle autorizzazioni per le ipotesi di nuove aperture. Lei è stato uno dei primi ad affrontare il problema nel libro “La Questione Territoriale”. Ci spiega la sua tesi sul distanziometro?

“La scelta del Cdm, su proposta dell’allora Ministra Stefani, di non impugnare la legge della Regione Puglia, attesta che anche il precedente Governo era alla fine d’accordo con la non espulsione del gioco pubblico. Ne consegue pertanto la valutazione positiva del revirement, con il quale il Governatore Emiliano ha cancellato l’effetto espulsivo per le realtà del gioco pubblico oggi esistenti. Il percorso è ancora lungo mentre si fa strada l’idea che la base del riordino del comparto del gioco pubblico stia passando attraverso il lavoro coraggioso, responsabile e riformista di alcune Regioni. E’ sempre più diffusa la consapevolezza che, con l’innovazione, occorra impedire la cancellazione dell’offerta pubblica dai territori, anche per i casi di semplice scadenza e cambio di concessione. E ciò perché sempre più si comprende che l’offerta pubblica di gioco rappresenti un concreto presidio sul territorio di legalità e di strumenti di attuazione di politiche economiche e sanitarie, attraverso la distribuzione di prodotti voluti sì, ma anche controllati, regolamentati e ben misurati. Io, come confermato nel mio testo, ho dimostrato che le leggi regionali siano viziate da errori tecnici che, inconsapevolmente, anziché limitare la distribuzione dell’offerta pubblica di gioco di fatto la eliminano. L’errore nello specifico vizia il distanziometro di Regioni, Province e Comuni, alcune delle quali stanno man mano modificando la norma, attraverso moratorie, non ancora nel modo corretto, anche se apprezzo comunque l’impegno ed il coraggio dei Governatori, come è avvenuto per la Puglia. Ad oggi, a causa di alcuni errori tecnici di valutazione che viziano i distanziometri, per l’ampiezza del raggio di interdizione e/o per la numerosità dei luoghi sensibili individuati (scuole, cimiteri, ospedali etc), non vi sono vie o aree nella quasi totalità dei territori interessati in cui possa essere esercitata l’attività del gioco pubblico. Con operatori legali e associazioni di categoria si è fatto ricorso a perizie di esperti per dimostrare l’effetto espulsivo (cioè l’interdizione del gioco pubblico dalla sostanziale totalità dei territori, che qualcuno, per addolcire il sapore del problema ha deciso di chiamare marginalizzazione). Ebbene nel 100% dei casi analizzati è risultato che la percentuale di interdizione è prossima al 100% del territorio interessato. Concludo sottolineando pertanto l’assoluta necessità del riordino del comparto, per mettere la parola fine a questo contesto che obiettivamente non fa onore a nessuno, riscrivendo le regole nel modo corretto in modo che siano efficaci, non contro lo scopo ma per la salvaguardia effettiva di utenti, lavoratori, imprese, e Stato”.

Redazione

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