Le storture dell’ideologia giustizialista

Le storture dell’ideologia giustizialista

È dai tempi del Golgota, 2021 anni fa, che si continua a sbagliare. Ma all’epoca si resuscitava. In questi giorni hanno liberato gli uomini del Mottarone e condannato Vendola. Naturalmente tutti sono pronti a giurare che la condanna di Vendola sarà ribaltata in appello, e siamo convinti che gli uomini del Mottarone saranno condannati, ma proprio per questo è importante parlare di garantismo.

Quello che mi chiedo è se sia ancora possibile essere garantisti e se sia possibile esserlo con i colpevoli. Il nonno di Alessandro Manzoni lo aveva capito benissimo; noi invece, dopo 257 anni, abbiamo nuovamente dei dubbi e l’idiozia giustizialista (impunitista per il segretario del Pd Enrico Letta, ma alcuni giornalisti temono sia un cretino) prospera. Ovviamente tutti siamo capaci di essere garantisti quando parliamo di innocenti tritati dalla malagiustizia: per questi è facile sollevare l’indignazione ed evocare il garantismo, ma la civiltà giuridica si dimostra con i colpevoli. Il concetto sembra semplice ed intuitivo: calpestare i diritti individuali e limitare la libertà non può essere considerato normale, ma costituisce la soglia oltre la quale un magistrato può spingersi solo in casi eccezionali.

Il garantismo non ha nulla a che vedere con l’esito dei processi e deve prescinderne, le garanzie che sono individuate riguardano le persone e non i loro atti, i diritti di cui gode un presunto colpevole sono l’ultimo appiglio che lo tiene legato alla comunità di cui continua a far parte e, per un condannato in via definitiva, l’ultima possibilità di riprendere la vita che colpevolmente ha smarrito. Il garantismo per loro è la vita. Ho cercato di capire parlandone con un colpevole certificato da 45 giorni a San Vittore, tre mesi di arresti domiciliari e da intercettazioni e video che hanno riempito i media e internet in una rincorsa al fango, ovviamente prima che fosse intervenuta alcuna condanna.

Camillo Milko Pennisi oltre a scrivere su questo sito, ospite di Porro, è un mio vecchio e caro amico, ed è un colpevole doc perché politico e berlusconiano, super colpevole perché non aveva alcun bisogno di delinquere, orribilmente colpevole perché giovane, brillante e in carriera. Sia chiaro: nessuna di queste prerogative costituisce un reato, ma sono queste che lo hanno trasformato in mostro e aggravato la sua pena. Mentre un pluriomicida come Brusca, a suo dire pentito, ha diritto allo stipendio ed alla protezione dello Stato, un uomo che ha ammesso subito la sua responsabilità è condannato allo stigma perpetuo, sociale ed economico. Lui e la sua famiglia devono pagare come solo le famiglie “per bene” possono pagare: scontando l’umiliazione sociale.

Milko, dopo l’arresto, poteva pentirsi solo della sua straordinaria stupidità nell’aver accettato le lusinghe della mazzetta che subito aveva confessato. Il suo è stato un pentimento sincero e doloroso ma, non portando nulla al carniere dei magistrati, del tutto inutile. Ormai i magistrati non cercano la punizione di un criminale o la persecuzione di un delitto, loro vogliono la palingenesi morale della società, che nella loro visione colpevolista può essere raggiunta solo nella correità, secondo il principio che non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti. L’unico elemento di scambio valido è la delazione, mentre il delitto commesso perde significato.

Milko, perché hai patteggiato?

“Io ho riconosciuto subito la mia responsabilità individuale nell’aver accettato una proposta che non avrei dovuto accettare. Ho sbagliato ed ho sbagliato da solo, ma davanti a tre magistrati schierati che mi parlavano di un “Sistema” del quale avrei fatto parte, mentre facevano trapelare notizie assolutamente false su mie presunte delazioni, mi sono reso conto che il loro obiettivo non ero io ma quelli che avrei potuto coinvolgere. Mi sono spaventato, mi sono reso conto di essere completamente nelle loro mani e in quelle dei giornalisti che manovravano un circuito mediatico nel quale la mia colpevolezza era diventata solo la prima tessera di un inesistente mosaico che erano pronti a scoprire”.

Cosa ti ha ferito di più?

“Il fatto che nessuno si sia mai chiesto come mai sui miei telefoni, computer, agende non abbiano trovato nulla che non fosse corretto; il fatto che nessuno abbia provato a chiedersi il perché io fossi caduto nel mio errore; essere trasformato nel mostro del “Sistema Milanese”.”

Perché non hai aspettato il processo?

“Nella condizione nella quale ero stato messo, non ho avuto la forza di arrivare ad un processo che non avrebbe fatto altro che dimostrare gli errori che avevo già ammesso. Non ho avuto la forza di rischiare ancora due anni a San Vittore di carcerazione preventiva. Io non avevo nulla da dire e tutti gli imprenditori che sono stati chiamati dai magistrati non hanno avuto nulla da dire su di me. Forse ero diventato inutile anche per i magistrati.”

Cosa ti ha tenuto in piedi in quei mesi?

“La mia salvezza è stata di non identificarmi nel personaggio che stavano dipingendo cercando di tornare, con tutti i miei limiti, ad essere me stesso. Avevo sbagliato ma lo avevo fatto da solo.”

P.S. Oggi Milko ha una splendida figlia e una nuova compagna, in questi anni si è preso cura del padre che recentemente è mancato ed ha cercato di riavviare la sua vita professionale. Ha perso molti conoscenti ma ha guadagnato qualche amico. Inoltre, la vecchia e comune militanza liberale lo ha spinto ad una continua riflessione sui suoi diritti da imputato e sui suoi doveri da cittadino. Questo articolo vuole essere un piccolo contributo a queste riflessioni ed è stato il frutto di due serate con Milko e di una scrittura a quattro mani. Milko ha ottenuto la riabilitazione legale, oggi si impegna per una riabilitazione sostanziale che solo la sua vita e il coraggio di chi lo ascolta potranno dargli.

Antonio De Filippi – nicolaporro.it

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